IL DOLORE ALL’ANCA E LOMBARE NELLO SPORTIVO: COME RICONOSCERLO E COME RISOLVERLO

Foto di Adobe Stock

Di Federica Marnetto e Michela Saracco

Gli sportivi, più o meno professionisti, sono spesso affetti da dolore all’anca (coxalgia) o alla bassa schiena (Low Back Pain).

Pensare immediatamente ad una lesione dei tessuti molli o dell’articolazione è prassi comune, ma non è sempre così.

Poiché la maggior parte delle volte questa sintomatologia è correlata ad un uso eccessivo e, in particolare, a una lesione da sovraccarico micro-traumatica.

Circa il 5% -21% di tutti i traumatismi che avvengono negli sportivi coinvolge l’anca, il bacino e/o la parte bassa della schiena.

Uno studio ha dimostrato che il sovraccarico è stato la causa della coxalgia (dolore all’anca) nell’82,4% dei casi.

I corridori in particolare sono più facilmente soggetti a questo genere di problematica, arrivando a lamentare sintomi che costringono ad interrompere l’attività fisica fino al 70% dei casi in un periodo di 1 anno, ma anche le altre discipline non sono esenti. 

Indipendentemente dal livello di competizione atletica, ricreativa o professionale, le lesioni da uso eccessivo nella regione dell’anca e della schiena sono ugualmente comuni.

Le cause esatte di questa problematica devono ancora essere determinate con certezza, ma si pensa che l’eziologia possa essere multifattoriale.

Costituzione fisica, allenamenti scorretti e conseguenti squilibri muscolari sono le cause più accreditate, insieme a patologie preesistenti e misconosciute.

E’ pertanto fondamentale un approccio biomeccanico funzionale per identificare squilibri muscolari significativi e disfunzioni articolari.

Una comprensione approfondita della relazione tra la colonna lombare, il bacino, l’anca e la coscia e la loro relazione con la catena cinetica funzionale (comprese le aree ben al di sopra e al di sotto dell’anca e del bacino) è la chiave per la valutazione e il trattamento.

Prima di passare ad analizzare la problematica, è importante chiarire alcuni concetti fondamentali, come la catena cinetica aperta e chiusa.

Lo studio delle catene cinetiche muscolari risulta molto utile nella interpretazione del gesto atletico: il “motore” infatti è rappresentato dai muscoli.

S’intende per catena cinetica muscolare aperta, il sistema in cui l’estremità distale (parte più lontana dalla linea mediana del corpo) è libera, priva di alcun vincolo.

Ne sono esempio l’arto inferiore durante la deambulazione nella fase oscillante, l’estensione della gamba in posizione seduta, lanciare un oggetto, ecc.

Nel caso della catena cinetica chiusa, invece, l’estremità distale della catena motoria è fissa, ossia non libera di muoversi durante l’esecuzione del gesto.

Esempi sono l’arto inferiore nella deambulazione nella fase di appoggio del piede, gli arti superiori che spingono contro una parete o gli arti inferiori in un individuo che solleva un peso da terra.

Il gesto sportivo si articola, generalmente, attraverso l’uso alternato di catene cinetiche aperte e chiuse.

L’esempio più classico è la corsa nella quale l’arto inferiore lavora a catena chiusa nella fase di appoggio e aperta nella fase di slancio.

Alcuni sport, tuttavia, sono caratterizzati da movimenti che avvengono prevalentemente a catena chiusa, come il canottaggio e il ciclismo.

Questi sport presentano generalmente un aumento del rischio di incorrere in patologie da sovraccarico dell’apparato locomotore.

Quest’ultimo, infatti, è costretto a lavorare in una posizione rigidamente costretta da precisi punti di vincolo, come ad esempio pedali e manubrio della bicicletta.

In presenza di dismorfismi e paramorfismi come scoliosi, alterazione delle curve della colonna vertebrale nel piano sagittale come accentuazione della cifosi o della lordosi, asimmetrie degli arti, alterazioni della postura del bacino, l’organismo non dispone sempre della necessaria possibilità di modificare la postura per adattarsi al mezzo come avviene invece facilmente nel movimento a catena aperta.

D’altra parte però, anche gli sport a prevalente catena cinetica aperta presentano possibili svantaggi, a fronte di una iniziale maggiore capacità di compenso ed adattamento.

Infatti, la resistenza alla terapia di patologie da sovraccarico in sport a catena aperta nasce proprio dalla possibilità di modificare il gesto atletico per compensare i difetti posturali che spesso ne sono alla base, motivo per il quale spesso il dolore inguinale nel maratoneta o nel giocatore di calcio può essere di difficile risoluzione.

Lo sportivo adotta, spesso inconsciamente, strategie motorie sempre più complesse all’insorgere dei primi sintomi nel tentativo di alleviarli e mantenere la condizione di equilibrio necessaria per l’esecuzione del gesto atletico.

Ciò esaurisce via via le possibilità di compenso e favorisce il cronicizzarsi della patologia. In questi casi, oltre al trattamento locale della problematica, il processo di guarigione prevede una complessa rieducazione posturale ed il ripristino di corretti schemi motori.

Al contrario, negli sport a catena chiusa la patologia da sovraccarico si presenta precocemente e generalmente non può essere risolta dall’atleta modificando, se non parzialmente, la strategia di movimento per i motivi detti.

In questi casi piccole modifiche apportate al mezzo consentono il ripristino di un buon grado di equilibrio generale e, variando la distribuzione del carico sull’apparato locomotore, possono rimuovere le iper-sollecitazioni meccaniche causa delle lesioni.

La patologia tenderà quindi a cronicizzare meno facilmente e le riserve di compenso fisiologico saranno meno coinvolte.

Esistono poi i danni da gestualità ripetuta, come la coxalgia dello sportivo affetto da conflitto femoro-acetabolare, anche detto FAI (Femoro-Acetabular Impingement) che, se sottovalutato, può sfociare nell’artrosi precoce dell’anca.

Anch’esso, al pari delle più comuni tendiniti, può essere causa di pubalgia (dolore in corrispondenza del pube) e/o coxalgia.

Si caratterizza per un anomalo contatto tra i due capi articolari: la testa del femore e l’acetabolo (parte del bacino).

Diverse possono essere le condizioni che ne predispongono l’insorgenza: la presenza di una prominenza della parete antero-superiore dell’acetabolo, che è troppo avvolgente rispetto alla posteriore e crea un conflitto con il collo femorale durante la flessione e la rotazione interna; la perdita della sfericità della testa del femore a livello del passaggio testa-collo; la sporgenza della testa femorale nella cavità acetabolare dove risulta come incarcerata; le alterazioni costituzionali dell’angolo che si crea tra collo e diafisi femorale; un’alterazione del tilt pelvico con modificazione dell’orientamento dell’acetabolo; un’eccessiva lassità articolare e peri-articolare da favorire un anomalo contatto tra collo ed acetabolo, soprattutto negli sportivi che con il gesto atletico sollecitano l’articolazione ai gradi estremi.

Negli sportivi, si possono inoltre creare lesioni del labbro acetabolare (un sistema a guarnizione che sigilla l’articolazione), con esposizione dell’osso sottostante e innesco del suddetto danno che può portare all’artrosi precoce.

Questo fenomeno si verifica soprattutto in atleti impegnati in arti marziali o ballerine, specie se di danza classica, in quanto si assiste a brusche sollecitazioni ai gradi estremi dell’articolazione dell’anca.

In caso si sospetti un FAI, è fondamentale l’esame clinico e solo in un secondo momento gli esami strumentali, come la risonanza magnetica nucleare, o meglio l’Artro-RMN per escludere patologie associate e documentare lesioni del labbro, della cartilagine e dell’osso sub-condrale (osso al di sotto della cartilagine).

La valutazione clinica evidenzia frequentemente una riduzione della flessione e la positività dei test clinici specifici che rievocano il conflitto e provocano la sintomatologia nota al paziente.

Con il progredire della patologia si possono avvertire rumori di scroscio, che spesso si associano già ai segni radiografici di artrosi.

La terapia del FAI prevede, nei casi in cui la degenerazione articolare non è molto avanzata, un intervento chirurgico artroscopico, volto a risolvere il conflitto e impedire l’avanzamento del danno articolare dell’anca.

Questo trattamento si avvale di piccoli accessi chirurgici e permette di effettuare la regolarizzazione dell’osso causa e conseguenza del FAI sul versante femorale e/o acetabolare, trattamento del labbro acetabolare (re-inserzione, regolarizzazione) e trattamento delle eventuali lesioni cartilaginee (regolarizzazione, micro perforazioni).

Dopo l’intervento, è molto importante la riabilitazione per permettere il recupero articolare e il progressivo ritorno alla pratica sportiva.

Fortunatamente, la coxalgia e il Low Back Pain sono causati nella maggior parte degli atleti da alterazioni della catena cinetica e conseguenti squilibri muscolari tra agonisti ed antagonisti o tendiniti.

Ciò indica che il ripristino del corretto equilibrio biomeccanico porta il più delle volte alla scomparsa dei sintomi e al ritorno alla condizione preesistente.

Vediamo adesso alcuni aspetti generali, ma fondamentali, per la prevenzione e gestione di questi disturbi. Il controllo del peso è di primaria importanza.

Il sovrappeso infatti altera la distribuzione dei carichi, specie sulla colonna vertebrale, predisponendo alla comparsa di sintomi da sovraccarico o slatentizzando patologie pregresse e misconosciute.

E’ fondamentale dunque avere una alimentazione sana e bilanciata ed il giusto introito di liquidi giornalieri.

Non meno importante è l’allenamento costante, rispettando i tempi di recupero tra una sessione e l’altra, che abbia come obiettivo il rinforzo simmetrico e completo.

Tale lavoro va però sempre eseguito alla presenza di un esperto che possa differenziare gli esercizi sulle caratteristiche del singolo sportivo e, in caso presente, tenendo conto della patologia.

Prima di affrontare però qualsiasi programma di allenamento, è necessario eseguire un buon riscaldamento, muscolare ed articolare.

Quest’ultimo, insieme allo stretching, riveste un ruolo di fondamentale importanza nella prevenzione degli infortuni e nella riduzione dei traumi muscolari.

Lo stretching, in particolare, va eseguito in 2-3 round a giorni alterni per permettere di mantenere l’elasticità e la tonicità muscolare.

In caso di sintomi persistenti e/o di più grave intensità, è bene eseguire cicli di ginnastica posturale con l’aiuto di un personal trainer opportunamente addestrato o di un fisioterapista.

Questo tipo di esercizi permette di rinforzare la muscolatura paravertebrale, gli addominali e i muscoli del cingolo pelvico e scapolare al fine di dare sollievo alla colonna vertebrale e diminuire i carichi che su di essa vengono continuamente applicati, specie in presenza di una disfunzione della suddetta muscolatura.

Infine, il nuoto, e i movimenti in acqua più generalmente, in assenza di gravità, permettono di aumentare l’elasticità dei muscoli e il loro tono senza gravare eccessivamente su colonna vertebrale ed articolazioni dell’arto inferiore.

E’ sconsigliabile però eseguire movimenti di eccessiva apertura dell’anca, specie in persone già affette da FAI, come nello stile rana, al fine di ridurre la sollecitazione eccessiva di questa articolazione.

Uno stile di vita sano, il corretto allenamento di tutto il corpo e il rispetto dei tempi di riposo-recupero sono la soluzione per mantenersi in forma, ma soprattutto in salute.


Le autrici:

Federica Marnetto: Medico Chirurgo, Specialista in Ortopedia e traumatologia, Dirigente medico, Policlinico Agostino Gemelli.
La trovi su: Instagram

Michela Saracco: Medico Chirurgo, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”. Iscrizione all’albo professionale di Roma (n. M62286).
La trovi su: Instagram
Email: michelasaracco@gmail.com


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