IL MITO DEGLI ADDOMINALI BASSI

In foto: Catia Catizzone

Di Sonia Arduini

Iniziamo questo articolo affermando che gli “addominali” bassi non esistono. Se sfogliate qualsiasi manuale di anatomia vi renderete conto che non sono menzionati in nessun paragrafo.

Cambiamo quindi modo di pensare, partendo dalle basi. Pensate ai muscoli come delle corde che spostano aste rigide (ossa). Se doveste portare a voi un oggetto legato ad una fune direste “tira la corda bassa”? Oppure “tira la corda” e basta?

Immaginate di sdraiarvi al suolo pronti per fare addominali. Immaginate sempre i vostri muscoli come delle funi. Provate a non ragionare come “alto” o “basso”, ma piuttosto come “vicino” alla testa e “lontano” sempre dal nostro riferimento. Ecco che magicamente alto e basso spariscono ma diventa, prossimale (“vicino” al capo) e distale (“lontano dal capo”).

Altro punto importante per capire come evitare strafalcioni tecnici sull’addome bisogna capire i suoi punti di inserzione e origine. Riprendendo la metafora dei muscoli come corde bisogna pensare al fatto che io posso tirare la corda dalle due estremità opposte e di conseguenza quello che sposterò sarà opposto in base a ciò che fisso. Se ho una fune che collega le mie due mani: se attivo (“tiro”) la mano destra che si trasforma nel mio punto fisso e la mia mano sinistra si sposterà e viceversa. Posso quindi scegliere un punto fisso distale (lontano dal capo) o prossimale (vicino al capo).

Nel caso specifico dell’addome, restando però nel generale, le due estremità dell’addome diventano le coste (prossimale) e il pube (distale). Quindi, se il mio punto fisso diventano le coste muoverò il bacino e di conseguenza tutto ciò che a esso è collegato, quindi l’arto inferiore. Mentre se fisso gli arti inferiori (che diventano il mio punto distale) si sposterà la porzione prossimale dell’addome.

Questo è ciò che normalmente chiamiamo addominale “alto” o “basso” ma che in realtà si tratta di porzione “prossimale” o “distale” dello stesso muscolo, che è uno soltanto.

Quando parliamo di “addominali”, giustamente ne parliamo al plurale perché essi sono 6. Un retto addominale, due obliqui esterni, due obliqui interni e uno muscolo traverso dell’addome.

Muscolo retto dell’addome

Muscolo retto dell’addome.
Prima immagine: visione laterale Seconda immagine: visione anteriore
 
Disegno di: Anna Bartole
Ispirato a: Kapandji A.I., “Anatomia funzionale- Volume III, (2011), Monduzzi Editoriale

Rappresenta il muscolo addominale più conosciuto (e ammettete che sia quello che avete pensato a lui durante la lettura della metafora della corde). È il muscolo più visibile soprattutto nei soggetti più muscolosi (la cosiddetta “tartaruga”) in quanto risulta ricoperto solo dalla cute. Dall’immagine a destra si vede come questo muscolo mette a contatto la V, VI e VII cartilagine delle coste con la sinfisi pubica ed è progettato per essere particolarmente efficiente grazie alle multiple fibre muscolari di lunghezza inferiore e dalle inserzioni tendinee che collaborano durante la sua attivazione. Questo muscolo accoglie attraverso una grande fascia fibrosa chiamata aponeurosi (paragonabile ad una pellicola trasparente che avvolge tutte la cavità viscerali) gli ulteriori muscoli dell’addome.

Muscolo traverso dell’addome

Muscolo trasverso dell’addome.
Prima immagine: visione laterale Seconda immagine: visione anteriore
 
Disegno di: Anna Bartole
Ispirato a: Kapandji A.I., “Anatomia funzionale- Volume III, (2011), Monduzzi Editoriale

Anche questo muscolo prende origine dalle coste, precisamente le ultime sei e se notate dall’immagine vi renderete conto che ha dei punti di contatto anche con la porzione dalla fascia lombo-dorsale. Tutto il muscolo poi termina nella sua porzione distale (distante dal capo) in una larga aponeurosi (quella “pellicola” del muscolo del retto addominale). Dall’immagine si può notare che la direzione delle sue fibre è prettamente orizzontale, ciò caratterizza anche le sue funzioni. In primo luogo, la sua contrazione determina un appiattimento della parete addominale, secondariamente, contribuisce alla stabilizzazione del rachide lombare anche durante il movimento dell’arto inferiore. Sottolineo questo dettaglio perché se pensate, è muovendo l’arto inferiore che si suppone di attivare “l’addome basso”.

Infine questo muscolo sembra avere una funzione importante anche a livello posturale. Sembrerebbe che un ritardo dell’attivazione del traverso possa essere una delle cause all’origine delle lombalgie (Hodges e Richardson 1996).

Muscolo obliquo interno dell’addome

Muscolo obliquo interno dell’addome.
Prima immagine: visione laterale Seconda immagine: visione anteriore
 
Disegno di: Anna Bartole
Ispirato a: Kapandji A.I., “Anatomia funzionale- Volume III, (2011), Monduzzi Editoriale

Il muscolo obliquo interno, vede la sua origine dalla fascia lombosacrale (rimarcando il suo collegamento con la parete dorsale e posteriore già vista nel muscolo traverso) fino alla spina iliaca anteriore superiore e vanno ad inserirsi sia in alto verso le ultime tre coste e in basso verso la larga aponeurosi del retto addominale.

Muscolo obliquo esterno dell’addome

Muscolo obliquo esterno dell’addome.
Prima immagine: visione laterale Seconda immagine: visione anteriore
 
Disegno di: Anna Bartole
Ispirato a: Kapandji A.I., “Anatomia funzionale- Volume III, (2011), Monduzzi Editoriale

Il muscolo obliquo esterno, composto in totale da 8 fasci ha un inserzione dei primi 5 fasci con il muscolo dentato anteriore (quindi come si vede dall’immagine ha un inserzione a livello delle coste) mentre gli ultimi tre con quelli del muscolo gran dorsale (quindi nuovamente nella porzione dorsale del corpo); per poi discendere obliquamente e terminare nella solita aponeurosi del retto addominale.

Ora che abbiamo chiarito l’origine e l’inserzione dei muscoli addominali cerchiamo di capire come si attivano.

I muscoli addominali essendo situati davanti al rachide (immaginate la solita metafora delle corde) quando si attivano proiettano la colonna in avanti. Sono quindi definiti dei potenti flessori del tronco. Questo movimento di flessione sottintende l’attivazione del retto dell’addome che avvicina l’apofisi xifoidea (processo osseo al centro dello sterno) alla sinfisi pubica. Questo spostamento è supportato dai muscoli obliquo interno ed esterno. Entrando nel dettaglio, il retto è un flessore diretto, mentre il muscolo obliquo interno rappresenta un tensore obliquo verso il basso e indietro; mentre quello esterno avvicina il torace in direzione basso- avanti. Ogni volta che eseguite questo movimento, si percepisce di attivare solo “l’addome alto”. In realtà, come abbiamo visto, stiamo attivando tutto il muscolo addominale, principalmente la sua porzione prossimale.

Erroneamente si pensa invece che muovendo l’arto inferiore si ottenga l’attivazione della porzione distale. Questa affermazione è solo in parte vera. Quando noi muoviamo l’arto inferiore non attiviamo l’addome, ma molti altri muscoli, definiti flessori dell’anca. In particolare il grande psoas e il muscolo del retto dell’addome.

Il muscolo ileopsoas prevederebbe un approfondimento, ma per ora ci basti sapere che prende origine dall’ultima vertebra toracica e tutte le vertebre lombari (esattamente nella parte posteriore). Discende in avanti al bacino e si inserisce attraverso un grosso tendine al piccolo trocantere del femore (proprio nell’arto inferiore). Se proviamo a semplificare la sua attivazione, ripensando ai muscoli come a delle corde, possiamo immaginare come si contragga. Focalizzando l’attività in posizione supina (pancia verso l’alto) tenendo come punto fisso le vertebre lombari si otterrà una flessione (avvicinamento) del femore sul tronco; se invece manteniamo fermo il femore, aumenterà la lordosi. Questo aumento della curva lombare avviene solo nelle prime fasi di avvicinamento del busto sulla arto inferiore, poi la curva si ridurrà più si avvicina alla parte finale della flessione (come avviene nell’esercizio del sit-up).

Anche il muscolo del retto del femore si attiva quando si flette il femore sull’anca. Infatti esso ha origine sull’anca (precisamente nella spina iliaca antero-inferiore) e a valle si collega alla base della rotula (insieme a tutti gli altri muscoli che compongono il quadricipite).

Pensare quindi di attivare la porzione “bassa” dell’addominale muovendo le gambe, non è propriamente corretto. In realtà, quel movimento rappresenta per il nostro corpo una flessione d’anca e quindi attiverà tutti quei muscoli che in maniera predominante si contraggono per far avvicinare il femore al busto.

Vi starete chiedendo quindi, come sia possibile attivare il distretto distale senza coinvolgere i muscoli flessori dell’anca? Beh, questo è impossibile, ma si può cercare di stabilizzare il bacino, in particolare la lordosi lombare, per cercare di ridurre l’attivazione dei muscoli flessori d’anca.

Ecco che, ora si evidenzia un punto fondamentale, infatti i muscoli addominali come abbiamo spiegato non solo flettono il tronco in avanti ma aiutano il raddrizzamento posteriore della lordosi lombare.

Mentre abbiamo descritto l’anatomia dei muscoli abbiamo sottolineato il collegamento meccanico della fascia addominale con l’apparato posteriore del dorso. Questo rappresenta un meccanismo che andrebbe approfondito, ma ci basti sapere che le due porzioni sono interdipendenti tra loro.

Visione laterale del corpo. Focus su anteroversione del bacino (immagine scura) e sua correzione (immagine più chiara)
 
Disegno di: Anna Bartole
Ispirato dal teso: Kapandji A.I., “Anatomia funzionale- Volume III, (2011), Monduzzi Editoriale

I muscoli addominali non prendono parte nella statica rachidea inconscia, ma un corretto tono può aiutare i muscoli spinali nel mantenere una più fisiologica curva lombare. Infatti il rilasciamento muscolare addominale (figura più scura nell’immagine) accentua tutte le curve rachidee: iperlordosi lombare, aumento della cifosi dorsale e aumento della lordosi cervicale.

Per allenare le fasce addominali più distali mantenendo un’ approccio posturale bisogna chiarire un altro punto fondamentale.

La corretta posizione del bacino, permette una riduzione della tensione dei muscoli flessori dell’anca. Ciò permette un’isolamento selettivo della porzione distale degli addominali. Per determinare questa posizione di partenza bisogna partire dalle pelvi. Nell’immagine, si può notare come a livello del bacino sia presente una linea orizzontale che attraversa l’osso dall’avanti-dietro.

Questa linea astratta unisce visivamente la spina iliaca antero-superiore alla spina iliaca postero-superiore. Si nota come la sua direzione sia differente nelle due immagini. In quella chiara, infatti mantiene un atteggiamento più orizzontalizzato, mentre nella figura nera, diventa obliqua in avanti e in basso. Quest’ultima posizione viene definita come antiversione del bacino. La direzione delle pelvi (quindi la direzione della linea) agisce indirettamente anche sulla curva lombare. Infatti nell’immagine grigia la curva è ridotta, mentre in quella nera la curva lombare è aumentata. La correzione dell’antiversione del bacino (quindi assumere una minore curva lombare come nell’immagine grigia) si ottiene non solo avendo un buon tono addominale, ma anche grazie all’ azione dei muscoli estensori dell’anca: precisamente la contrazione degli ischio-crurali e soprattutto del grande gluteo (tanto amato dalle ragazze).

Vediamo nel pratico come iniziare:

Prima immagine in alto:
Posizione in decubito dorsale con arti estesi
 
Seconda immagine in basso
Posizione in decubito dorsale con arti flessi
 
Disegno eseguito da Anna Bartole
Ispirato a: Kapandji A.I., “Anatomia funzionale- Volume III, (2011), Monduzzi Editoriale

Quando ci sdraiamo in decubito dorsale (pancia in alto) con gli arti estesi la tensione del muscolo psoas (che ha la sua origine nel tratto lombare) provoca una iperlordosi lombare creando il vuoto sotto i reni.

Mentre quando flettiamo gli arti inferiori, creiamo fisiologicamente una correzione del antiversione del bacino (sopra descritta) e nel pratico una diminuzione della lordosi lombare.

Questo dettaglio ci aiuta per capire che la posizione di partenza per eseguire correttamente un tono della fascia addominale parte dalla posizione di arto inferiore flesso, provocando una fisiologica correzione dell’antiversione del bacino preventivando così una possibile tensione lombare.

Ora attivando sinergicamente i muscoli: ischiocrurali, grande gluteo e addome si accentua quella rotazione delle pervi in senso della correzione, definita come retroversione. Viene quindi annullato lo spazio vuoto tra i reni e il suolo.

Il mantenimento di una corretta retroversione per almeno 30” rappresenta il punto di partenza per riuscire ad attivare la porzione distale dell’addome.

La gradualità si ottiene attraverso una metodica che si basa su movimenti successivi, alternati consecutivi e simultanei.

Disegno eseguito da Anna Bartole
Ispirato a: Pivetta S., Pivetta M., “Tecniche della ginnastica medica”,(2002), Edi.Ermes Editore

Esempi di movimenti graduali per facilitare la retroversione del bacino.

Prima linea: prevede lo spostamento dell’arto inferiore, per poi riportarla alla posizione iniziale prima di muovere la gamba controlaterale.

Seconda linea: prevede il movimento del primo arto che viene raggiunto dal secondo ma con ritorno in tempi successivi.

Terza linea: prevede il sollevamento di entrambi gli arti ma ritorno con tempi successivi

Quarta linea: sollevamento e ritorno simultaneo.

In conclusione, con queste semplici modalità, si riuscirà ad attivare la porzione inferiore dell’addome, mettendo in piena sicurezza il tratto lombare e limitando parzialmente l’attivazione dei muscoli flessori dell’anca.


Note sull’autrice:

La Dott.ssa Arduini Sonia è laureata magistrale in Scienze e tecniche dell’attività motoria preventiva e adattata presso l’Università di Bologna.

Attualmente studentessa di Osteopatia e Trainer presso un’importante azienda di fitness.

Lavoro come performer trainer in una conosciuta azienda di fitness e mi occupo principalmente di rieducazione posturale.

Da sempre appassionata di sport, ho praticato l’arte marziale del Judo fin dalla tenera età. Nel tempo la disciplina del Judo mi ha plasmato come atleta e come persona.

Credo molto nell’applicare alla pratica la teoria scientifica, per questo motivo cerco sempre di integrare le mie conoscenze in ambito osteopatico con l’esperienza sul campo.

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